Il tannino, fin dalla preistoria, ha avuto un ruolo cruciale nella creazione dei colori, come prima forma di comunicazione visiva.

Per andare alle origini dell’impiego dei pigmenti colorati, bisogna fare un salto indietro a circa 70.000 anni fa, quando l’uomo di Neanderthal cospargeva il corpo dei defunti con una polvere di ocra rossa macinata, a simboleggiare il colore del sangue.

Solo nel neolitico il tannino iniziò ad essere utilizzato per fini artistici: l’arte rupestre, arrivata fino ai giorni nostri, ne è l’esempio più concreto. I colori utilizzati erano principalmente il rosso, il nero (ottenuto in parte grazie al tannino), il giallo e il bianco, ricavati da pigmenti naturali mescolati con ingredienti in grado di fissarsi alle superfici, come il succo di limone, la caseina e la cera d’api.

Con l’esigenza di decorare il proprio corpo, si svilupparono i processi per l’estrazione del colore dai vegetali e, successivamente, dagli animali (cocciniglia) e dai minerali (lapislazzuli).

L’estrazione del colore da materiali naturali ha permesso anche la tintura di tessuti e pelli, in particolare grazie alla miscela dei pigmenti con l’olio, con la possibilità di ottenere diverse sfumature e contrasti.

Solo nella seconda metà dell’800 nacque il primo colore sintetico che, nel giro di qualche decennio, sostituì completamente quelli di origine vegetale.

Nature Printing: il tannino come alternativa sostenibile ai coloranti sintetici

Negli ultimi anni i consumatori e produttori sono diventati sempre più consapevoli dei problemi ambientali legati all’utilizzo di colori sintetici, risvegliando l’interesse per processi “antichi” e a ridotto impatto ambientale.

Infatti, le acque di scarico derivanti dalla produzione dei coloranti sintetici e le sostanze chimiche utilizzate nei processi di tintura dei tessuti possono avere ripercussioni negative sulla salute dell’uomo e sul nostro pianeta. Invece, le tinture a base di prodotti naturali come i tannini, non solo non prevedono alcun uso di sostanze tossiche, ma gli elementi di scarto che ne derivano sono facilmente riciclabili e, anche se dispersi in natura, hanno un impatto pressoché nullo sull’ambiente.

Ecco, quindi, che l’uso di coloranti naturali è ritornato in auge, soprattutto in considerazione del crescente interesse verso tessuti e fibre rinnovabili e sostenibili.

Per esempio, i tannini idrolizzabili sono i più impiegati nei processi di colorazione dei tessuti, grazie alla loro solubilità, alle loro caratteristiche cromatiche e alla capacità di interagire fortemente con il substrato attraverso l’impiego di sali metallici.

Sono classificati come coloranti “a mordente”, poiché richiedono processo di mordenzatura con sali di ferro per la formazione del colore nero e blu. In particolare, il tannino estratto dalle galle è stato utilizzato fin dall’antichità proprio per la produzione del nero.

A seconda del tipo di pianta da cui si ricava l’estratto, la miscela di tannini ha una composizione specifica dalla quale si prepara un colorante con particolari caratteristiche cromatiche. Il metodo di estrazione più diffuso impiega acqua calda e aceto dove poi vengono immersi i prodotti raccolti dalla pianta, opportunamente macinati.

Vi siete mai accorti che alcune macchie di frutta sono particolarmente ostinate e paiono non andare via nonostante numerosi lavaggi? Ecco, è proprio il tannino il responsabile: piante e frutti, in particolare l’uva (e quindi anche il vino rosso) e la nespola, che ne sono particolarmente ricchi, hanno la capacità di fissarsi alle fibre e di colorare in modo del tutto naturale.

Il potere colorante dei tannini era conosciuto anche in epoche antiche e non solo come pigmento: la quercia, il castagno e l’abete, infatti, venivano utilizzati come basi d’appoggio per la pittura su tavola. Tuttavia, gli artisti li utilizzavano con estrema cautela, dato che erano in grado di alterare il colore dei dipinti, nonostante si trattasse di legno stagionato.

Il nature printing, si rivela particolarmente efficace sui tessuti di origine animale. A differenza delle fibre vegetali, infatti, la lana o i pellami sono costituiti da materiale proteico in grado di legarsi agli elementi responsabili della colorazione. I pigmenti, quindi, vengono assorbiti con estrema facilità ed in seguito fissati, per garantirne brillantezza e durata.

Le tinture organiche sono il futuro?

Sì, a patto che le aziende e i consumatori siano aperti al cambiamento.

Purtroppo siamo tutti parte di un enorme meccanismo legato al consumismo e ciò rende più difficile produrre prodotti realizzati solo con materiali naturali. È fondamentale creare la consapevolezza che bisogna investire in prodotti durevoli ed ecologici, nonostante l’elevato costo.

Anche se, alcuni produttori stanno già utilizzando combinazioni di colori naturali e sintetici, sarà complicato passare in breve tempo a processi di produzione completamente ecologici. Ma sono proprio i produttori in primis a dover sposare questi cambiamenti: solo così potranno sperare di conquistare questa nuova ed esigente fetta di mercato.

E voi? Prima di acquistare un capo di abbigliamento o un accessorio, prestate attenzione al tipo di tintura a cui è stato sottoposto?