Parlare di moda sostenibile significa fare riferimento sia all’aspetto ecologico sia a quello sociale: dalla gestione responsabile delle materie prime all’equità nel trattamento dei lavoratori e al rispetto nei confronti dei consumatori.
L’industria della moda è tra le più inquinanti al mondo dopo quella del petrolio e della chimica di sintesi.*
E’ pertanto necessario trovare soluzioni sostenibili che convincano il mercato, dominato da una estenuante lotta al ribasso dei prezzi, ad andare in questa direzione visto che i consumatori dimostrano un’attenzione crescente a queste tematiche. In particolare composizione, processi produttivi ed origine dei materiali sono aspetti fondamentali che concorrono a definire l’impatto ambientale e sociale di un prodotto.
Spesso la parola sostenibilità rimanda istintivamente al concetto di innovazione: ma innovazione è sempre sinonimo di sostenibilità? La ricerca si sta muovendo a passi velocissimi, forse anche troppo veloci. Fermiamoci un secondo a riflettere.
Materie prime naturali sempre sostenibili?
Facciamo un passo indietro: le materie prime per l’industria della moda si possono suddividere in tre macrocategorie, quali fibre naturali, fibre artificiali e fibre sintetiche.
- Le fibre naturali sono derivate da fonti esistenti in natura, vegetali o animali, attraverso dei processi meccanici che non ne alterano la struttura: per esempio il cotone, la canapa, la lana o ancora la pelle.
- Le fibre artificiali sono derivate da fonti naturali ma attraverso processi chimici: per esempio la viscosa (che deriva dalla polpa del legno, dalla paglia o dal cotone) o l’acetato (che deriva da cellulosa e acido acetico). Questi nomi ci fanno pensare a materie prime naturali ma al termine del processo industriale cosa davvero è rimasto di naturale? Inoltre, questi processi che impatto ambientale hanno in termini di consumo di energia e di acqua?
- Le fibre sintetiche sono il risultato della trasformazione diretta di sostanze chimiche generalmente derivate dall’industria petrolchimica, per esempio il nylon o il pile. Spesso leggiamo che il riciclo della plastica PET consente la produzione di felpe, guanti, sciarpe o coperte in pile, o ancora di imbottiture super resistenti per giacche invernali. Ottimo, ma quali sono i costi e l’impatto ambientale dei processi?
Facciamo una considerazione ulteriore: le fibre naturali sono sempre sostenibili? No. Si tende, infatti, a pensare che le fibre artificiali e sintetiche siano le più inquinanti, e questo talvolta è vero, poiché i processi produttivi di sintesi prevedono un grande dispendio di energia o l’utilizzo di sostanze chimiche che comportano problemi di smaltimento.
Talvolta, però, anche i materiali naturali possono essere prodotti con modalità non del tutto green. Ecco perché sono nate delle certificazioni che permettono di tracciare le materie prime come il cotone o la lana, a garanzia di una filiera a basso impatto ambientale. Perché il rischio c’è, anche per i materiali naturali.
Un esempio? In alcuni casi il cotone non certificato viene coltivato con l’ausilio di pesticidi o diserbanti, pericolosi per l’ambiente e per la salute.
E veniamo anche ai materiali artificiali: la cosiddetta “ecopelle”, per esempio, un materiale molto di moda a partire dagli anni ‘90 che veniva presentato come l’alternativa “ecologica” alla vera pelle in quanto non era un derivato animale.
Ma l’ecopelle cosa avrebbe avuto di ecologico? Praticamente nulla, poiché era un materiale di sintesi derivato nientemeno che dal petrolio.
Questo ha dato vita a lungo dibattito durato molti anni ed ancora in corso, con importanti controversie legali. Oggi questi materiali sintetici recano in etichetta la denominazione “similpelle”, mentre il termine ecopelle ha subito un radicale mutamento di significato, andando ad indicare i pellami ottenuti da materie prime sostenibili e sottoposti a processi di concia naturali ed ecologici che rispondono a requisiti minimi imposti dalla certificazione di Prodotto UNI 11427 per “Pelli e cuoi a ridotto impatto ambientale”.
Nulla a che vedere con tutti quei materiali sintetici e plastici prodotti con chissà che processi chimici e per nulla sostenibili.
Pelle conciata al vegetale: naturale, sostenibile e trendy
Esiste però una materia prima naturale la cui lavorazione si inserisce in un contesto virtuoso di sostenibilità ambientale e sociale. È la pelle al vegetale conciata con il tannino. Un processo legato alla tradizione artigianale del made in Italy che ha il suo cuore in un territorio ben preciso, fra le provincie di Pisa e Firenze, dove vengono prodotti cuoio a marchio “Cuoio di Toscana” e pelle al vegetale a marchio “Pelle conciata al vegetale in Toscana”, a garanzia di materie prime sostenibili e prodotti derivanti da un processo produttivo legato a tradizioni secolari, nel pieno rispetto dei lavoratori.
Prendiamo a esempio la pelle conciata al vegetale, un materiale sostenibile sotto molti punti di vista. Vediamo perché:
- La pelle è uno scarto dell’industria alimentare che se non conciata diventerebbe un rifiuto da smaltire, quindi il suo riutilizzo si inserisce in un’economia di recupero.
- Il tannino è una sostanza naturale al 100%; la pelle conciata al vegetale è quindi priva di sostanze chimiche e per questo è ben tollerata anche in soggetti allergici.
- Il tannino usato per la concia delle pelli è estratto secondo un processo sostenibile che ottimizza le risorse e i consumi energetici.
- La pelle conciata al vegetale acquisisce numerose proprietà, fra cui la resistenza e la traspirabilità, il che la rende perfetta per la realizzazione di accessori duraturi come giacche, scarpe, cinture, etc.
La sostenibilità nel caso del tannino si declina però lungo tutta la filiera, dalle materie prime da cui viene estratto fino al processo di concia al vegetale, di cui è attore principale.
- Il processo di approvvigionamento delle materie prime rispetta l’ambiente. Avviene, infatti, sottostando a rigide normative e controlli delle autorità nazionali a garanzia della tutela del patrimonio e degli ecosistemi forestali, evitando il rischio di sfruttamento e deforestazione per agricoltura intensiva. Le fonti vegetali più utilizzate su scala industriale per l’estrazione del tannino sono il legno di Castagno e di Quebracho e i baccelli di Tara.
- Inoltre, le aziende che estraggono il tannino sono situate proprio nelle vicinanze delle foreste, in modo da ridurre al minimo l’impatto ambientale del processo di approvvigionamento. Soprattutto in Argentina, la gestione delle foreste da cui si ricava il tannino di Quebracho ha favorito una rivitalizzazione di microeconomie locali, contrastando l’abbandono delle zone rurali e garantendo il sostentamento della popolazione. La stessa cosa si è verificata in Italia, dove l’estrazione di tannino di Castagno ha consentito di preservare i boschi locali, soprattutto nelle vallate del Piemonte e della Liguria, valorizzando l’economia dei borghi montani.
- Il processo di estrazione del tannino avviene come una vera e propria infusione, senza l’aggiunta di alcun additivo chimico. L’unico elemento necessario è l’acqua calda, in cui la fonte vegetale viene lasciata a macerare. Il tannino liquido subisce poi un processo di essiccazione che lo trasforma in una polvere colorata, maggiormente adatta ad essere conservata e trasportata. Il vapore acqueo che deriva dal procedimento viene riutilizzato per nuovi processi di estrazione, mentre il legno esausto può venire inviato in una centrale a biomassa per produrre nuova energia o trasformato in pellet per impianti a riscaldamento completamente naturali.
Un acquisto consapevole parte sempre dalla domanda “Come è stato realizzato?” Domanda a cui la filiera del tannino e della concia al vegetale può fornire davvero una risposta sostenibile. E forse sarà il vostro prossimo motivo per comprare un paio di scarpe o sandali in cuoio o in pelle conciati al vegetale con tannino.