La conceria Lo Stivale di Santa Croce sull’Arno, nel Distretto del Cuoio toscano, racchiude la testimonianza di un importante pezzo di Storia nazionale. A narrarcela è Emilio Martelli, 82 anni di cui ben 71 trascorsi tra vasche di concia e bottali.

“Sono entrato in conceria a soli 11 anni – racconta – erano altri tempi, si iniziava a lavorare da giovanissimi. Fin da subito ho appreso l’arte della concia al vegetale con tannino. A 14 anni avevo già acquisito una discreta esperienza e sono passato in un’altra azienda che utilizzava un metodo di concia diverso da quello a cui ero abituato, ovvero la concia al cromo.

Purtroppo, non sono durato a lungo: ho scoperto di essere allergico al cromo, sentivo continuamente prurito alla pelle, soprattutto alle mani. E quando è così, bisogna smettere. Con la concia al vegetale ed i tannini, al contrario, non ho mai avuto problemi. Posso ben dire di essere la prova tangibile che la concia al tannino è davvero adatta anche alle pelli più sensibili!

Negli anni Cinquanta del secolo scorso, il lavoro in conceria era molto faticoso: “si andava su e giù per le scale con le pelli caricate sulle spalle, non c’erano ascensori” racconta Martelli. “Inizialmente si utilizzavano solo le vasche, i bottali sono arrivati in un secondo momento. Questo è stato un grande cambiamento: ha permesso di rendere più veloce ed efficace il processo di concia. Infatti, la concia delle pelli in bottale dura circa 12 ore; per il cuoio invece bisogna utilizzare tutt’ora le vasche e ci vogliono almeno 3 mesi.

Prima sussistevano pratiche molto antiche, come il ‘rammorto’: dopo il calcinaio, la fase in cui i peli e l’epidermide sono rimossi chimicamente trattando il pellame, si stendevano le pelli ancora umide in buche scavate direttamente nel terreno e si cospargevano di trucioli di legno di castagno. L’umidità naturale della terra favoriva il passaggio del tannino dai chips di legno alla pelle, tipo la salatura del prosciutto! Lo si faceva per preparare meglio le pelli alle fasi successive di concia.”

Molte altre cose sono cambiate rispetto a quei tempi. Ad esempio, racconta ancora Martelli, “oggi per rasare le pelli vengono utilizzate delle macchine; un tempo c’erano degli strumenti a mano e grazie all’abilità manuale del conciatore che consentivano di sbalzare le pelli e portarle a un certo spessore”. Inoltre, fino agli anni Trenta, veniva fatto un uso interessante degli scarti derivanti dalla scarnatura: “Ripulivamo il lato carne della pelle dal grasso e dal carniccio rimasto dopo la scuoiatura, prima di passare alla concia vera e propria. Questi scarti venivano poi sminuzzati ed utilizzati come concimi per gli ulivi.”

“A quell’epoca era molto utilizzato il tannino di Sommacco, che conferisce alle pelli una colorazione chiara. Oggi invece si predilige soprattutto quello di quebracho, castagno e mimosa -spiega Martelli. L’arte della concia consiste soprattutto nel conoscere e saper dosare i tannini, per ottenere pellami con diversi gradi di morbidezza e resistenza.”

Cambiamenti sono stati apportati anche nella fase che segue il processo di concia. “Nella nostra conceria prepariamo un ingrasso speciale, con sego e olio di pesce. Molti anni fa si utilizzava persino l’olio di balena, oggi proibito; al suo posto ci sono oli speciali derivati dal pesce. Dopo la pressa, si inserisce l’ingrasso direttamente nel bottale e il movimento rotatorio aiuta le sostanze a penetrare nelle fibre”.

Nonostante molti di questi processi siano stati resi obsoleti dalle nuove tecnologie, la conceria Lo Stivale ha conservato lo spirito della tradizione. “Utilizziamo solo materie prime naturali. Alla fine del suo ciclo d’uso, la nostra pelle può tranquillamente tornare alla terra ed essere usata come concime.”

Siamo una realtà piccola: 9 dipendenti e 4 soci. Ma va bene così: continuiamo a lavorare coniugando modernità e tradizione. Se penso agli inizi… era il 1951, in pieno Dopoguerra, avevamo solo un capannone di 60-70 mq e un bottale ricavato da una botte di vino! Molte concerie in quegli anni hanno iniziato così. Siamo fieri del percorso che ci ha portato fin qui. Oggi vanno avanti soprattutto le realtà molto grandi, ma per diventarlo è necessario standardizzarsi e noi non vogliamo snaturarci. Per le piccole imprese che seguono la nostra stessa filosofia diventa quindi indispensabile associarsi, fare fronte comune, e mantenere quel tratto distintivo che la grande industria non si può permettere”.

Info: https://www.lostivale.it/